L’utilizzo dell’immagine è fondamentale per esprimere un’idea o un concetto. La Street art si propone di denunciare una realtà quotidiana tramite un impatto visivo molto forte. ARTEMURO® utilizza lo stesso impatto visivo dando voce alle pareti, ricreando così un effetto emozionale in ognuno di noi. In questo senso ARTEMURO® condivide la stessa filosofia della street art.Tommaso Tiberio, a nome del Team ARTEMURO®
In principio furono i graffiti delle caverne di Altamira, di Lescaux e Pech Merle. E sembrerà strano, ma è andando con la memoria a quei segni e alle figure dei primordi artistici della preistoria che si può comprendere a pieno il provocante graffito su pietra collocato «abusivamente» al British Museum – nel 2005 – da uno dei più noti graffitari contemporanei, Banksy.
Operatori socioculturali della nascente underground, tribù intente a quello che per la pubblica opinione dell’epoca era solo un fenomeno di «imbrattamento », degenerato negli anni Settanta nel selvaggio wild stile. «Graffiti o aerosol art, quando le ricerche formali superano i caratteri alfabetici per abbracciare iconografie più complesse, meno legate alla semiotica e più al divenire delle arti», continua Dogheria. L’evoluzione della specie dei writers americani, con la conseguente reciproca contaminazione degli innumerevoli movimenti europei e africani (Dogheria viaggia da Berlino a San Paolo, da Londra fino al Senegal), aprirà il sipario sui Masterpieces ovvero «i pezzi capolavoro» che non rientrano più nella zona off limits del vandalismo, ma nel dorato mondo dell’arte e nelle attuali quotazioni d’asta che sfiorano il milione di dollari per uno “strappo” di Banksy.
Il fenomeno commerciale ebbe il suo incipit con lo “United Graffiti Artists”, anno 1972, i graffiti dei muri newyorkesi fanno il loro ingresso trionfale nelle gallerie. Le mille luci di New York si accesero sulla nuova avanguardia grazie al testo miliare, The faith of graffiti (1974) scritto da uno degli epigoni della beat generation, Norman Mailer (con l’apparato fotografico di Jon Naar) il quale tracciò il primo censimento dei 630 writers newyorkesi. L’artista austriaco Stefan Eins completò l’opera di divulgazione di massa della street culture strappando a sua volta i graffiti dalle strade per metterli in mostra nel suo “Fashion Moda”, un magazzino industriale abbandonato nel sempre più nevralgico South Bronx. Lì, seguendo l’onda ribelle approdarono i due geni-writers Keith Haring (che nella canonica di Sant’Antonio a Pisa ha lasciato un murale capolavoro) e Jean-Michel Basquiat, i cui volti continuano a dialogare con i passanti nel dipinto di Eduardo Kobra. L’artista brasiliano partendo da San Paolo ha disseminato di arlecchini i muri delle capitali di mezzo mondo, dove si ritrovano anche le sue effigi di denuncia politica, oltre ai ritratti spirituali di Madre Teresa di Calcutta e di papa Wojtyla.
Spiritualità che ha trovato un suo narratore figurativo nel romano, a dispetto del nome d’arte ebraico, Mr. Klevra, famoso per la Madonna in piedi sulla luna nella sua mistica Sancta Sanctroom. Sulla scia dei grandi (gli italiani Blu, Sten&Lex, Ericailcane) e del suo ispiratore agli esordi, omino71, Mr. Klevra porta avanti una poetica che accetta di buon grado gli interventi di “recupero estetico” sempre più diffusi, da San Francisco a Berlino passando per la periferia romana di Tor Marancia, fino al porto di Catania (in cui ha appena lasciato il suo segno il portoghese Vhils), ma si mantiene al riparo dall’inflazionamento modaiolo per cui dice: «Tutti ormai si sentono street artist». Non tutti invece possono dirsi graffitari di talento e writers ispirati come il milanese Ivan, il cui monito rimane forse il miglior manifesto della street art cult: «Chi getta semi al vento farà fiorire il cielo.»
Fonte: sito www.avvenire.it/cultura
Articolo di Massimiliano Castellani – 22.01.2016